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La dismorfofobia è un disturbo che si esprime con micidiali attacchi di panico e appare decisamente moderno o, potremmo dire, postmoderno, poiché è strettamente legato al crescente sviluppo del senso estetico come fenomeno sociale e all'evoluzione della chirurgia estetica, connessi all'idea postmoderna di poter cambiare anche l'apparentemente immutabile, come l'aspetto esteriore.
Sino a vent'anni fa, chi avesse smanie di rendersi più attraente doveva accontentarsi della palestra o delle cure estetiche tradizionali, in grado di migliorare ma non certo di cambiare l' aspetto di una persona. Ma da quando la medicina estetica in tutte le sue branche, chirurgiche e non, è divenuta una delle più richieste, è possibile realizzare ciò che prima era impossibile realizzare.
Purtoppo, anche in questo caso ciò che può far molto bene può al tempo stesso fare molto male. La medicina estetica in sé è certamente una buona cosa, utile e preziosa, ma l'uso eccessivo o improprio può renderla decisamente dannosa e pericolosa. E' per l'appunto ciò che succede quando una persona si fissa su una peculiarità estetica che rifiuta, che vive come un tormento in grado di scatenare reazioni di panico al solo incrociare uno specchio o uno sguardo indiscreto, e ripone quindi nella medicina estetica le sue speranze di superare il problema. Vale la pena di precisare che nella maggioranza di questi casi il difetto estetico o non esiste affatto o è davvero trascurabile.
L'idea patogena di possedere un'inaccetabile deformarmità estetica è soltanto una fissazione mentale, il più delle volte connessa a problemi di relazione con gli altri e a una profonda insicurezza. La mente si aggrappa alla spiegazione di un difetto estetico come fondamento di quei problemi, e all'illusoria speranza che, tolto quello, come per miracolo tutto si risolverà. Purtroppo non di rado zelanti quanto scorretti professionisti della medicina estetica caldeggiano, per ovvi motivi di guadagno personale, tali visioni patologiche. Si da così inizio a una catena di interventi correttivi, mai risolutivi, che esacerbano la patologia psichica del soggetto; questo infatti troverà sempre qualche altra cosa da aggiustare nel proprio aspetto, infatti molte persone iniziano con un semplice intervento al naso per poi passare alla bocca e successivamente agli occhi, in un perverso gioco senza fine. In questo casi l'illusione della soluzione chirurgica e il successivo intervento innescano una sorta di reazione a catena che rapisce totalmente i pensieri del soggetto, il quale vive nel costante bisogno di sedare la reazione di panico scatenata dall'idea del difetto estetico.
Reali deformità vengono prodotte dagli interventi correttivi estetici che magari aggiustano un dettaglio, ma scompensano l'armonia dell'insieme. Per non parlare degli effetti devastanti di interventi estetici malriusciti e dei tentativi ulteriori che rendono più disastroso il fallimento precedente.
Ciò che rende quasi inevitabile questa catena di eventi è il fatto che dapprima il dismorfofobico, sulla scia della propria convinzione, tende ad isolarsi dal contatto con gli altri per evitare la sofferenza e le crisi di panico scatenate dal sentirsi osservato e giudicato. Dopodichè, chiede disperatamente aiuto ai propri famigliari e propone loro quella che per lui è l'unica soluzione del suo problema e della sua sofferenza. Anche se capiscono chiaramente che il problema è psichico e non fisico, i famigliari prima o poi cedono alla richiesta, poiché la sofferenza espressa dai soggetti è realmente estrema. Inoltre il dismorfofobico rifiuta la psicoterapia, essendo convinto di avere un reale difetto estetico e non un'erronea e patogena percezione di sé e quindi il paziente arriva in terapia solo a disastro compiuto ( Nardone 2003).
Grazie ad un protocollo specifico di trattamento messo a punto dal professor Nardone e dai suoi collaboratori, è possibile liberare i soggetti affetti da tale invalidante sofferenza in tempi brevi.