Le persone che presentano la paura di non essere all’altezza tendono a mettere in atto cinque strategie disfunzionali, finendo per alimentare ancora di più la paura di non essere all’altezza. La prima tentata soluzione disfunzionale messa in atto da queste persone è l’evitamento di ciò che temono.
L’evitamento però è un’arma doppio taglio: se da una parte evitare ci fa sentire sicuri, dall’altra conferma la nostra incapacità di affrontare e superare le difficoltà. Ripetendosi nel tempo, questo copione conduce subdolamente a un progressivo peggioramento del senso di incapacità e a un incremento della paura stessa, dando vita a una catena di evitamenti sempre più generalizzati. La seconda tentata soluzione disfunzionale messa in atto dalle persone che presentano la paura di non essere all’altezza è la richiesta di aiuto.
Quando la richiesta di aiuto implica delegare ad altri ciò che dovremmo fare in prima persona, produce effetti analoghi all’evitamento, perché conferma la nostra incapacità nel fare le cose da soli. Essere aiutati diviene dannoso ogni volta che limita la capacità del soggetto di sviluppare la propria autonomia, prerogativa essenziale di un individuo capace e responsabile. La terza tentata soluzione disfunzionale è caratterizzata dall’eccesso di controllo, infatti, quando tale atteggiamento va oltre il dosaggio “sano”, si trasforma in un vero e proprio veleno.
L’effetto “velenoso” si esprime con due modalità: nella prima, l’eccesso di controllo porta alla perdita di controllo; esempio tipico è quello di chi, più cerca di controllare l’ansia, più la scatena fino ad arrivare al panico. Nella seconda, tenere tutto sotto controllo o voler fare le cose in maniera perfetta funziona così bene nel sedare la paura che diventa una necessità a cui la persona non riesce più a rinunciare, portando spesso a disturbi psicologici invalidanti, come il disturbo ossessivo-compulsivo. La quarta tentata soluzione disfunzionale è quella di difendersi preventivamente, cioè quel meccanismo che si innesca quando temiamo che l’altro in qualche modo possa danneggiare noi o la nostra autostima.
È un atto comunicativo molto potente, che dà vita a un processo disfunzionale per cui, se ci difendiamo preventivamente, anche l’altro farà lo stesso con noi. Si innesca così un’escalation di sfiducia e posizioni difensive che impedisce di costruire relazioni sane. Come un boomerang, la difesa preventiva si ritorce contro chi voleva proteggersi, confermandogli ulteriormente l’esigenza di difendersi e l’autoinganno di vivere in un mondo popolato da nemici. La quinta e ultima stentata soluzione disfunzionale è quella di rinunciare, la quale è una delle psicotrappole più deleterie. Quando la sfiducia nelle proprie capacità porta a rinunciare ad affrontare le prove che la vita ci propone, non fa che confermare la presunta incapacità, sino a renderla tale.
(MILANESE, 2020)
Grazie ad un protocollo specifico di trattamento messo a punto dal Professor Giorgio Nardone e dai suoi collaboratori, le persone invalidate da tale problematica, possono essere guidate in tempi brevi a risolvere la propria insicurezza, acquisendo la capacità di confrontarsi con gli altri e con il mondo in maniera funzionale.
“Se non credi in te stesso, chi ci crederà?” (Kobe Bryant)