Di certo non siamo stupiti nello scoprire che tra le varie forme di attacchi di panico connessi alla paura di morire, la più ricorrente è quella che si esprime nel sentirsi mancare il respiro sin quasi alla totale asfissia. Il venir meno dell’aria rappresenta infatti per l’organismo il più eclatante allarme di morte o svenimento, e quindi di una spaventosa perdita di coscienza imminente.
A proposito di mancanza d’aria, gli anatomopatologi evidenziano come il cadavere di chi muore per asfissia, soffocato o annegato, manifesti nel rigor mortis l’espressione del terribile panico che precede la perdita di coscienza. Non a caso tra le peggiori torture ideate dall’umanità per estorcere informazioni e segreti vi è quella di versare acqua sul viso e dentro il naso del torturato, mentre questi viene immobilizzato col capo all’indietro.
È sufficiente evocare la sensazione di essere stretti con forza alla gola per sperimentare una reazione emotiva di paura e il bisogno vitale e impellente di uscire quanto prima da tale condizione. In fin dei conti il nostro respirare è il primo e ultimo anelito di vita, ed è perciò normale che il suo venir meno rappresenti un accadimento talmente spaventoso da scatenare il panico nella sua forma più estrema. Inoltre l’asfissia, a differenza di un evento fulmineo come un infarto, si manifesta con ispirazioni progressivamente sempre più accelerate, per cui il soggetto rimane cosciente sino all’ultimo di ciò che sta accadendo e la paura, di conseguenza, cresce fino a divenire panico irrefrenabile.
Considerando che la paura di non riuscire a respirare è probabilmente la fonte più impetuosa della reazione di panico, è necessario però far notare che quella reazione è essa stessa causa della mancanza d’aria. Ovvero è l’attacco di panico, dovuto spesso ad altre cause, che innesca una reazione di respirazione affannosa e “fame d’aria” o dispnea.
Nel corso di una crisi di panico la reazione fisiologica dell’ansia sale infatti vertiginosamente superando la soglia della sua funzionalità come attivatore dell’organismo, fino a divenire una risposta disfunzionale che altera i nostri parametri fisiologici, provocando spaventose sensazioni di perdita di controllo delle funzioni vitali e, in primis, della respirazione. In tutta la letteratura medica riguardante sia la dispnea, sia la iperventilazione, si fa riferimento all’ansia esageratamente elevata e al panico come fattori psicogeni che ne influenzano pesantemente l’espressione a livello clinico.
Nelle classificazioni diagnostiche esiste, infatti, la definizione “dispnea ansiosa”, così come per la iperventilazione caratterizzata da fame d’aria si fa riferimento per quella cronica all’ansia generalizzata, per quella acuta degli attacchi di panico. I dati clinici evidenziano, dunque, l’interdipendenza tra la fisiologia respiratoria e le reazioni psicologiche legate alla percezione della paura e ai suoi meccanismi di attivazione di risposte difensive. Ma a differenza della risposta emotiva, e funzionale verso una minaccia reale, l’ansia immotivata genera risposte disfunzionali, poiché è proprio il cercare difensivamente di assumere più aria possibile che produce, paradossalmente, il fenomeno della dispnea.
Di fatto, se si inspira più del dovuto e a ritmi accelerati, si altera il funzionamento della dinamica respiratoria intasando i polmoni con un eccesso di aria in entrata che non permette la fuoriuscita di quella già immagazzinata. L’alterazione produce un blocco e un contrasto tra l’aria che naturalmente deve essere espirata e quella che forzatamente viene inspirata: una sorta di “cortocircuito respiratorio”.
Da qui la sensazione di soffocamento, i giramenti di testa e i dolori posturali, sintomi che aumentano quella paura che impone al soggetto, oramai nel panico, di inspirare sempre di più, sino, spesso, allo svenimento. Ed è la perdita dei sensi, di nuovo paradossalmente, a permettere all’organismo, non più sotto scacco di una coscienza terrorizzata, di ripristinare la propria dinamica respiratoria.
Nel momento in cui si riprende il soggetto si sente devastato fisicamente e, ancor più, spaventato psicologicamente: piombato com’è nell’abisso della sindrome da dispnea psicogena e del panico che questa scatena poiché, come evidenziava già Ovidio, ‹‹chi ha fatto naufragio teme anche le acque tranquille››. (Giorgio Nardone 2023)
Grazie ad un protocollo specifico di trattamento messo a punto dal Professor Giorgio Nardone e dai suoi collaboratori, è possibile, in tempi brevi, aiutare queste persone a ritrovare il normale funzionamento respiratorio.